Avevamo letto qua e là dell'ennesimo libello scritto da insegnanti frustrate e totalmente incapaci di decifrare la realtà contemporanea. Non ne avevamo parlato perchè siamo ben consapevoli che criticare queste pubblicazioni significa in qualche modo dare alle stesse una qualche credibilità. Non sprechiamo del tempo per criticare ciò che è irrilevante, ciò che fa parte della palude culturale. Eppure, oggi quel libello arriva sulla prima pagina del Corriere della Sera. Centinaia di migliaia di poveri lettori italiani avranno letto l'articolo di Cesare Segre (illustre filologo e critico letterario), in cui elogia (sic) il libro di Paola Mastrocola (è lei l'autrice dell'ultimo disperato delirio in favore della scuola perduta). E allora dobbiamo finalmente parlarne. Perchè il pericolo, nel nostro Paese, di una deriva autoritaria, di una completa restaurazione di un pensiero gerarchico e fascistissimo non è da sottovalutare. Intendiamoci, il problema si pone per i prossimi 5-10 anni, perchè già tra 20 anni di questo ennesimo patetico libello non resterà ovviamente nulla, e delle parole di Segre ci si potrà far beffe. Tra 20 anni di tutta questa faccenda resterà soltanto questo nostro articolo, come è ovvio e giusto che sia.
Fino a quando tanta gente si informerà sulle grande testate nazionali e sui pochi grandi canali televisivi nazionali, dovremo fare molta attenzione. Fra qualche decennio, quando sarà ultimato il processo di decentralizzazione e degerarchizzazione del potere mediale, allora non dovremo neppure sprecare questi minuti per contrastare articoli senza idee come questi, che finiranno immediatamente nell'indifferenza più totale.
Il titolo dell'articolo di commento di Segre è tutto un programma: "La scuola facile. Un modello che non va". Dobbiamo essere sinceri. In noi avanguardisti è presente anche un gran godimento nel leggere la frustrazione di questi professoroni, che annaspano in quel tempio della Cultura che credono in qualche modo ancora di tenere in piedi con la loro autorità. Ma la realtà è ancora ben altra. Sui quotidiani nazionali non fanno certo scrivere chi è in grado di percepire e decifare la sensibilità contemporanea. Fanno scrivere chi è in linea con la sensibilità del nostro dopoguerra (prima del boom, sia chiaro!).
Com'è possibile che un professore universitario come Segre possa lodare idee tanto decrepite e pericolose? La risposta è molto probabilmente una sola: Segre è un filologo.
Ma ascoltiamo le sue parole:
Noi dobbiamo impegnare le nostre forze per cancellare questa idea di vita asservita alle istituzioni più autoritarie (la scuola) e ai valori più dannosi (lo studio, la disciplina). La vita non può essere al servizio della scuola. Forse potrebbe essere accettata una scuola al servizio della vita. Molto più probabilmente la scuola non ha alcun motivo di esistere.
Il problema è che di tutto questo Segre non si preoccupa minimamente. Forse l'obiettivo della scuola dovrebbe essere creare filologi come lui, capaci di insegnare nelle più prestigiose università e di pubblicare studi critici sulle lezioni varianti nei testi letterari, ma incapaci della minima osservazione critica sulla realtà contemporanea?
Ecco. E' questo il punto. Noi non vogliamo essere filologi. Noi vogliamo essere uomini a mille dimensioni. O meglio: vogliamo essere anche filologi, ma prima ancora uomini a mille dimensioni.
E poi, inserire in un'accozzaglia di tòpoi tanto ammuffiti il freschissimo nome di Don Milani. Per favore, occupatevi di altro. Lasciate stare Don Milani, che veleggia alto su territori che non potete neppure sfiorare da lontano.
Ma leggiamo ancora Segre:
E divertiamoci ancora.
Ma si percepisce anche, e molto chiaramente, l'enorme frustrazione, in quell'aggettivo-spia "tecnologico", che messo lì in mezzo tanto a sproposito finisce per smascherare intenzioni puramente reazionarie.
E infati il finale, sempre all'insegna dell'anti-tecnologismo più sciatto e ignorante, è letteralmente memorabile. Un finale che vorrebbe essere epico. E non fa che divertirci ancora di più.
Continuare poi a difendere la scuola della morte in nome di "ideali e principi vitali" (quali sarebbero? lo studio? la noia? la fatica? la disciplina?) è comico. La vita è un'altra cosa. La vita è piacere. La vita è entusiasmo. La vita è libertà.
Andrà avanti forse per qualche anno questa scuola noiosissima, grazie agli sforzi eroici di libellisti di quart'ordine e filologi fuori dal mondo. Ma i giochi sono ormai fatti. Nel mondo che vogliamo non solo non esisteranno gli studi noiosi. Ma non esisterà - e di questo non meravigliatevi troppo - neppure la parola "studio".
Fino a quando tanta gente si informerà sulle grande testate nazionali e sui pochi grandi canali televisivi nazionali, dovremo fare molta attenzione. Fra qualche decennio, quando sarà ultimato il processo di decentralizzazione e degerarchizzazione del potere mediale, allora non dovremo neppure sprecare questi minuti per contrastare articoli senza idee come questi, che finiranno immediatamente nell'indifferenza più totale.
Il titolo dell'articolo di commento di Segre è tutto un programma: "La scuola facile. Un modello che non va". Dobbiamo essere sinceri. In noi avanguardisti è presente anche un gran godimento nel leggere la frustrazione di questi professoroni, che annaspano in quel tempio della Cultura che credono in qualche modo ancora di tenere in piedi con la loro autorità. Ma la realtà è ancora ben altra. Sui quotidiani nazionali non fanno certo scrivere chi è in grado di percepire e decifare la sensibilità contemporanea. Fanno scrivere chi è in linea con la sensibilità del nostro dopoguerra (prima del boom, sia chiaro!).
Com'è possibile che un professore universitario come Segre possa lodare idee tanto decrepite e pericolose? La risposta è molto probabilmente una sola: Segre è un filologo.
Ma ascoltiamo le sue parole:
Il suo bersaglio polemico è la didattica di don Milani e di Gianni Rodari, che comunque diedero un appoggio, autorevolissimo, a tendenze già in atto. Don Milani predicò contro il babau del nozionismo, svalutando il concetto di nozione come conoscenza, e, in generale, il tipo di conoscenze che sono di solito oggetto di studio. Di qui l' avversione per il sapere letterario (guai al povero Virgilio!) e in particolare linguistico, considerati appannaggio dei ricchi. E anche la valorizzazione del territorio, la chiusura nella provincia e nei lavori contadini: non pensando che questo bloccava qualunque aspirazione al miglioramento mentale, ma anche economico degli scolari.Ecco. Il filologo ritira puntualmente fuori la rivalutazione del nozionismo. Possiamo sorridere quanto ci pare. Ma questo è il livello del dibattito sulla scuola nel 2011 sul nostro principale quotidiano nazionale. Ritirare fuori la questione del nozionismo ci pone fuori dalla storia, fuori dal mondo, fuori dalla realtà. Il nozionismo scolastico è la causa di tutti i mali (quasi, ma lo aggiungiamo poco convinti) della società contemporanea. Che il nozionismo sia portatore di superficialità, vanità, disimpegno, morte non è per fortuna più argomento di discussione, neppure al bar dello sport. Su queste pagine si discute se tutta la scuola, anche quella meno stupidamente nozionistica e più autenticamente libertaria, sia da cancellare. Di questo si dovrebbe discutere anche sulla prima pagina del Corriere della Sera.
Noi dobbiamo impegnare le nostre forze per cancellare questa idea di vita asservita alle istituzioni più autoritarie (la scuola) e ai valori più dannosi (lo studio, la disciplina). La vita non può essere al servizio della scuola. Forse potrebbe essere accettata una scuola al servizio della vita. Molto più probabilmente la scuola non ha alcun motivo di esistere.
Il problema è che di tutto questo Segre non si preoccupa minimamente. Forse l'obiettivo della scuola dovrebbe essere creare filologi come lui, capaci di insegnare nelle più prestigiose università e di pubblicare studi critici sulle lezioni varianti nei testi letterari, ma incapaci della minima osservazione critica sulla realtà contemporanea?
Ecco. E' questo il punto. Noi non vogliamo essere filologi. Noi vogliamo essere uomini a mille dimensioni. O meglio: vogliamo essere anche filologi, ma prima ancora uomini a mille dimensioni.
E poi, inserire in un'accozzaglia di tòpoi tanto ammuffiti il freschissimo nome di Don Milani. Per favore, occupatevi di altro. Lasciate stare Don Milani, che veleggia alto su territori che non potete neppure sfiorare da lontano.
Ma leggiamo ancora Segre:
Era inevitabile che in questa cultura «facile» fossero affossati gli studi considerati «noiosi», o quelli che sembrassero privi di utilità pratica immediata.Ecco il punto decisivo. Occorre annoiarsi, altrimenti non si sta studiando! Eppure io non ricordo mai di aver appreso qualcosa annoiandomi. Quando amo ciò che leggo, non ho assolutamente l'impressione che sia noioso o faticoso. Persino l'articolo di Segre, noiosissimo in sè, non mi annoia. Mi diverte.
E divertiamoci ancora.
Qui la Mastrocola mostra bene, con opportuni riferimenti, che si è affermata una nuova pedagogia, che favorisce «la scuola del fare, del saper essere, del saper stare (insieme), dello smanettamento collettivo e dell' invasamento tecnologico, non certo la scuola del sapere, delle nozioni (intese come conoscenze), della letteratura e dello studio astratto, teoretico».Difficilmente si può avere la fortuna di leggere un condensato simile di passatismo. La confusione di queste parole è sicuramente sintomatica della frustrazione di chi le ha partorite. Il procedimento mentale che può portare a mettere insieme il fare, il saper essere, il saper stare insieme (obiettivi altissimi) con lo smanettamento collettivo e l'invasamento tecnologico (qualsiasi cosa significhino queste espressioni nel cervello degli autori) è patologico. Sembra di sentire il lamento disperato dell'ultimo degli schiavisti prima che i liberatori facciamo giustizia dei loro misfatti.
Ma si percepisce anche, e molto chiaramente, l'enorme frustrazione, in quell'aggettivo-spia "tecnologico", che messo lì in mezzo tanto a sproposito finisce per smascherare intenzioni puramente reazionarie.
E infati il finale, sempre all'insegna dell'anti-tecnologismo più sciatto e ignorante, è letteralmente memorabile. Un finale che vorrebbe essere epico. E non fa che divertirci ancora di più.
Difficile indicare rimedi alla situazione messa in luce dall' autrice. Occorre un nuovo cambio di mentalità, che rimetta al centro dell' insegnamento lo studio, e che annulli l' insensato asservimento del sapere umanistico a quello tecnologico. Per ora, la Mastrocola dovrà rassegnarsi ad essere considerata una reazionaria. Ma questo è forse uno dei pochi casi in cui solo la reazione può difendere ideali e principi vitali prima che vengano definitivamente cancellati."Insensato asservimento del sapere umanistico a quello tecnologico". Chissà se Segre si rende conto che grazie a tecnologie può fare il suo altissimo mestiere di filologo. E chissà se si rende conto che grazie ancora ad altre tecnologie può scrivere fesserie del genere ed essere letto da centinaia di migliaia di persone, prima su carta, poi su schermo. Ancora una volta l'uomo dimezzato, scisso, dissociato del Novecento si presenta ai nostri occhi: ancora una volta dobbiamo sentirci fare la morale con la contrapposizione tra sapere umanistico a quello tecnologico. E' un mondo finito quello di cui parla Segre. L'uomo ad una dimensione che non ci sarà più per fortuna. Non ci sarà più perchè la scuola che vogliono quelli come lui, la scuola che ci ha fatto studiare 30 canti della Commedia dantesca e non ci ha fatto realmente riflettere su nessuno di quei canti, la scuola in cui si studia e si impara ad annoiarsi, quella scuola è finita.
Continuare poi a difendere la scuola della morte in nome di "ideali e principi vitali" (quali sarebbero? lo studio? la noia? la fatica? la disciplina?) è comico. La vita è un'altra cosa. La vita è piacere. La vita è entusiasmo. La vita è libertà.
Andrà avanti forse per qualche anno questa scuola noiosissima, grazie agli sforzi eroici di libellisti di quart'ordine e filologi fuori dal mondo. Ma i giochi sono ormai fatti. Nel mondo che vogliamo non solo non esisteranno gli studi noiosi. Ma non esisterà - e di questo non meravigliatevi troppo - neppure la parola "studio".
Antonio Saccoccio