sabato 23 luglio 2011

I giovani al bivio: fatica e frustrazione vs passione e felicità

L'idea che bambini e ragazzi debbano obbligatoriamente passare gran parte della loro esistenza chiusi, anzi rinchiusi, nelle scuole, è indubbiamente un residuo di una concenzione del mondo atroce. Una concezione a cui guarderemo inorriditi fra qualche decennio. E' evidente che in un mondo in cui conta prima di ogni altra cosa sacrificarsi quotidianamente in nome della competizione con i nostri simili e della corsa insensata verso qualcosa che si definisce "successo" o "potere", la scuola non è che una palestra per addestrarsi a questa miserabile lotta alla sopravvivenza. Ma, è evidente da diversi anni e da diversi sintomi ormai, i giovani iniziano a percepire l'imbecillità di un simile modo di condurre l'esistenza. La nuova visione del mondo chiede di vivere seguendo i desideri e le passioni, aspirando al piacere, alla felicità. Che senso ha, quindi, questo addestramento militarizzato, punitivo, autoritario e repressivo che ancora i giovani devono subire nelle scuole, se non quello di mantenere artificialmente in piedi una concezione della vita che ormai vacilla sotto tutti i punti di vista? Questa pesante e forzatissima scolarizzazione che ha come obiettivo primario l'abitudine al sacrificio, all'obbedienza, alla fatica ha ancora (se mai l'ha avuta) una ragione di esistere?
Già una quindicina di anni fa, nel 1995, Raoul Vaneigem, libero pensatore con un glorioso passato situazionista alle spalle, commentava così:
Ormai, ogni bambino, ogni adolescente, ogni adulto si trova all'incrocio di una scelta: sfinirsi in un mondo sfinito dalla logica della redditività ad ogni costo, o creare la propria vita creando un ambiente che ne assicuri la pienezza e l'armonia. Perché l'esistenza quotidiana non può essere confusa più a lungo con questa sopravvivenza adattativa a cui l'hanno ridotta gli uomini che producono la merce e dalla quale sono prodotti. Noi non vogliamo più una scuola in cui s'impara a sopravvivere disimparando a vivere.
Al di là del simpatico e neppure troppo originale gioco di parole "vivere/sopravvivere", Vaneigem vedeva giusto. E vedeva giusto anche perchè collegava il mito della scuola all'altro mito del lavoro, considerando il primo una preparazione all'altro.
Si tratta di scegliere tra la vita tutta risolta nel dolore, nella fatica e nel sacrificio e la vita che ha come fine il piacere, la passione, la felicità. La follia contemporanea è che allo studente oggi viene presentata la prima scelta come una scelta saggia e la seconda come una scelta perdente. Per questo motivo viviamo in un mondo di insoddisfatti cronici. La scelta imbecille è fatta passare per saggia e non tutti sono così saggi da comprendere l'ignobile truffa.
Occorrerà combattere in modo limpido ma irriducibile ogni tendenza autoritaria che cercherà ancora di spegnere il giusto risentimento dei giovani, che si sentiranno sempre più oppressi dalla doppia religione della scuola e del lavoro. Occorrerà innanzitutto descolarizzare, togliere potere alle scuole in qualsiasi modo ci sarà possibile. Il potere della scuola è ancora enorme. Chiunque sarà addestrato al sacrificio, alla fatica, alla noia, alla disperazione difficilmente non ripeterà quel modello per tutta la vita. Chi scoprirà che l'esistenza può aprirsi alla libera esplorazione di sè, della natura e degli altri, conquisterà un bene a cui difficilmente rinuncerà.

Antonio Saccoccio

lunedì 11 luglio 2011

Contro l'obbligo scolastico

Uno dei miti contemporanei da sfatare è che la scuola sia sinonimo di civiltà. Ancora più errata è la convinzione che sia un segno di civiltà l'obbligo scolastico. Qualsiasi autentico libertario è allergico alla parola "obbligo", e anche se riferito alla scuola il termine risulta allo stesso modo fastidioso. Nessun individuo, nessuna istituzione dovrebbe poter imporre ai bambini e ai ragazzi di andare a scuola. Quella che viene spacciata come una grande conquista, è in realtà una grande conquista solo per chi vuole asservire l'uomo e renderlo bene integrato al sistema dominante. Se si tratta di conquistare, colonizzare l'uomo, allora di sicuro l'obbligo scolastico è lo strumento più efficace per raggiungere questo obiettivo. Ma se si parla di conquiste umane, allora le cose stanno in modo radicalmente diverso.
La scuola, attraverso l'obbligo, manifesta la pretesa (violentissima e volgarissima pretesa) di voler monopolizzare l'apprendimento, che - lo vediamo oggi con sempre maggiore evidenza - è invece il risultato di continui stimoli ricevuti e interazioni stabilite con l'ambiente esterno e molto spesso indipendenti dalla frequenza scolastica. La scuola può così stabilire, in modo assolutamente autoritario, ciò che è giusto e utile sapere e saper fare. La scuola diventa anche l'unica realtà preposta ad attribuire credibilità all'apprendimento, mediante l'emissione di titoli di studio. E chi può farsi garante di questo apprendimento scolastico e quindi del titolo di studio? Può farlo solo chi è già passato per lo stesso percorso, e ha conseguito anni prima quei titoli di studio che ora deve certificare. In questo sistema il titolo di studio viene totalmente mercificato. A scuola si apprende nient'altro che ad entrare nel circolo di produzione e consumo che caratterizzerà l'alienante vita futura. Già nel 1971 in Invece dell'istruzione, Illich affermava:
Abbiamo cercato per generazioni di migliorare il mondo fornendo una quantità sempre maggiore di scolarizzazione, ma sinora lo sforzo non è andato a buon fine. Abbiamo invece scoperto che obbligare tutti i bambini ad arrampicarsi per una scala scolastica senza fine non serve a promuovere l'uguaglianza ma favorisce fatalmente colui che parte per primo, in migliori condizioni di salute o più preparato; che l'istruzione forzosa spegne nella maggioranza delle persone la voglia di imparare per proprio conto; e che il sapere trattato come merce, elargito in confezioni e considerato come proprietà privata, una volta acquisito, non può che essere sempre scarso.
C'è da disperarsi, quindi, quando gli ingenui scolarizzatori, che spesso usano per sè il titolo di "progressisti" (!), si esaltano confidando in un ulteriore innalzamento dell'obbligo scolastico. L'obbligo di frequentare la scuola è probabilmente più disumano del tanto criticato obbligo del servizio di leva, se non altro perchè non ci priva di un anno, ma di intere decadi della nostra esistenza! (e le migliori!) A tutto ci si abitua, certamente, ma l'abitudine alla scuola ha dell'incredibile, dato che nessun pensiero e nessun dato ormai ci rassicura sull'indispensabilità dell'istituzione scolastica. Dobbiamo quindi operare contro l'obbligo scolastico, affinchè l'apprendimento sia liberato da un'istituzione soffocante e dirigista.
E occorre operare anche contro il valore legale del titolo di studio, che indurrà sempre a scambiare il conseguimento di diplomi e lauree per reale apprendimento.

Antonio Saccoccio