martedì 6 marzo 2012

Le uniformi a scuola: avanti con la militarizzazione dell'esistenza

Per comprendere quanto possa essere nocivo l'autoritarismo degli adulti nei confronti dei ragazzi e dei bambini, è necessario leggere la pagina dedicata oggi al tema dell'educazione sul Corriere della Sera. L'articolo principale intitolato Le uniformi a scuola contro la sindrome di Lolita ci informa del tema in tutta la sua sconcertante gravità. Leggiamo:


La senatrice francesce Chantal Jouanno ha presentato in Parlamento il suo rapporto intitolato «Contro l' iper-sessualizzazione, una nuova battaglia per l'uguaglianza», e il ministro della Solidarietà Roselyne Bachelot ha promesso di seguirne le raccomandazioni. Per «difendere i nostri bambini dalla confusione illustrata dallo stesso termine di pre adolescenza», che toglie anni preziosi a quella che dovrebbe essere «infanzia», il rapporto Jouanno auspica alcune prime misure concrete: divieto dei concorsi di bellezza per «mini-miss», e ritorno all' uniforme scolastica sin dalle elementari. Se l'erotizzazione dell' esistenza comincia presto, bisogna allora anticipare anche la lotta contro i jeans a vita bassa.


L'uniforme a scuola e l'ennesimo disperato tentativo di reintrodurla. Di questo si tratta. Erotizzazione, pericoli della pre-adolescenza, confusione, concorsi di bellezza non sono altro che parole-scudo dietro alle quali si nasconde un altro patetico tentativo di ripristinare uno degli elementi più retrogradi e imbecilli della scuola passata: la divisa! il grembiule! uguale per tutti! E quindi: controllo e militarizzazione del bambino-operaio-soldato agli ordini dell'adulto-padrone-generale! Il termine e l'aggettivo "uniforme" dovrebbe - questa sì! - essere vietato in contesti educativi. Il problema è che il culto dell'uniforme è concepito e teorizzato da chi del grigiore uniforme ha fatto un sistema di vita. Gli adulti ingrigiti vogliono precocemente ingrigire i giovani uniformandoli al proprio sistema di vita, irreggimentato, gretto, claustrofobico. Infelice.


Che l'erotizzazione precoce sia una scusa per riproporre la divisa è chiaro dalle semplicissime obiezioni che una mente poco più acuta di quella della senatrice potrebbe opporle. Obiezioni che sono correttamente espresse al termine dell'articolo, riportando le parole del sociologo Michel Fize che afferma:



Bisogna riconoscere che oggi le ragazzine pure molto giovani affermano una femminilità della quale vanno fiere, mentre il loro punto di vista è totalmente assente nel rapporto. Più che sottomesse, direi poi che padroneggiano completamente l'uguaglianza tra i sessi. Infine, l' erotizzazione diffusa è un problema che tocca tutta la società, è difficile isolarlo e combatterlo solo sotto i 12 anni.


Quindi, è chiaro che l'ipersessualizzazione dei bambini e delle bambine non è il punto centrale della situazione. Il punto è che la visione che si vuole imporre è esclusivamente quella dell'adulto, mentre ciò che sentono, provano e pensano bambini e ragazzi non è minimamente preso in considerazione.
Ma la povera Chantal Jouanno non ha evidentemente gli strumenti per comprendere qualcosa che vada al di là della sua pochezza, è una donna che fa politica ed evidentemente segue l'onda del sentimento popolare. Quale onda? Quella, sempre presente in ogni momento, dei tanti nostalgici dei bei tempi andati, in cui tutto filava liscio nelle scuole: tutti irrigiditi dietro il banco, ubbidienti e impauriti, in soggezione durissima e costante, pronti a rispondere a domanda inutile con risposta rapida precofenzionata (sempre altrettanto inutile, si intende). Tutto sotto controllo. Voi fate i bambini-operai, noi siamo gli adulti-padroni!
Tra questi nostalgici della scuola-carcere-fabbrica di deficienti, compare nella stessa pagina la solita opinionista di buon senso a cui non si nega mai la parola in questi casi, tale Federica Mormando, che nell'articolo di commento ci regala un pezzo di sublime bravura e pathos inarrivabile (!). Leggiamo integralmente, perché non vogliamo modificare una sola virgola.


La divisa è in primo luogo un'affermazione, non un divieto. La divisa afferma che siamo nel tempo della nostra vita dedicato allo studio a scuola. Siamo scolari e la nostra funzione è imparare. E siamo un gruppo. Il che incita alla solidarietà, tanto è vero che la divisa era stata proposta anche fra i mezzi per prevenire il bullismo. Si è di «questa» scuola, e se ne può andare orgogliosi, se il corpo insegnante si dà da fare per questo. Si può essere fieri della propria divisa, come lo sono i militari che credono nella loro missione. Si può essere rispettati per la divisa: incontrare il proprio medico sempre in camice sulla spiaggia in costume, lascia perplessi, perché suggerisce altri ruoli, incrina un po' l'immagine cara al paziente. I segnali esterni dei ruoli e delle funzioni sono importanti simboli, che giungono diretti e chiari più delle parole. La divisa a scuola è una dichiarazione di adesione al ruolo di scolaro, una piccola corazza contro la licenza di giocare, e anche contro vagabondaggi della fantasia che un abbigliamento sexy favorisce, ai bambini, ma anche agli adulti.


Non c’era bisogno certo di queste parole per ribadire la morte del giornalismo in Italia, ne abbiamo esempi frequentissimi. Difficile è però restare indifferenti leggendo tante stupidaggini in poche righe. Il problema è che quelle stupidaggini sono di una pericolosità estrema. Rileggiamo: “La divisa afferma che siamo nel tempo della nostra vita dedicato allo studio a scuola. Siamo scolari e la nostra funzione è imparare”. Esilarante. Non possiamo avere dubbi: c’è un tempo della nostra vita da dedicare allo studio a scuola e basta mettersi una divisa per ricordarcelo tutti quanti! Ora, qui le questioni sono due: 1. si dà per scontato il fatto che la divisione della nostra vita in tempi forzati sia sana; 2. si dà per scontato in modo altrettanto inquietante il fatto che sia sano imporre a tutti i ragazzi di indossare una divisa per poter espletare la “funzione” di imparare. Sarebbero idee esilaranti, se non fossero ripugnanti. Ripugnante è infatti il successivo paragone con il militare, che conferma una volta di più che questa illustre opinionista non ha la minima cognizione della gravità delle proprie affermazioni. Paragonando scolari a militari non si rende conto di affermare direttamente ciò che è nascosto in tutto il suo discorso: la visione militarizzata dell’esistenza. Inoltre le sfugge forse un piccolo particolare: il soldato sceglie di indossare un’uniforme, allo scolaro si vuole imporre la divisa. Ma questo sempre se nella sua illustre testa esiste la differenza tra scelta e imposizione, della qual cosa iniziamo a questo punto a dubitare. Ridiamo solo dell’immagine del medico in spiaggia, perché accanirsi non è necessario: l’immagine è sballata e fuori luogo, ma almeno non è pericolosa come le altre. Ma torniamo seri perché ora il gioco si fa duro. Ecco la professione di fede: "I segnali esterni dei ruoli e delle funzioni sono importanti simboli, che giungono diretti e chiari più delle parole. La divisa a scuola è una dichiarazione di adesione al ruolo di scolaro, una piccola corazza contro la licenza di giocare, e anche contro vagabondaggi della fantasia che un abbigliamento sexy favorisce, ai bambini, ma anche agli adulti".
Ecco che tornano in bella evidenza le parole-chiave: ruoli e funzioni. Gli individui, e quindi anche i bambini, non sono considerati in quanto autonomi individui dotati di proprie personalissime aspirazioni, ma sono ingabbiati in ruoli e funzioni sociali. Mai confessione poteva essere più chiara. Contano ruoli e funzioni: il resto ovviamente è trascurabile.
Ma il lessico autoritario della privazione e della “vita dura” deve ancora arrivare. Leggiamo la parte conclusiva dell’articolo:


Il senso della trasgressione è collegato a quello del dovere, senza il quale — lo vediamo — del piacere resta solo la ricerca esasperata e alla fine vana. Una divisa è un messaggio anche per i genitori: mortificare l'infanzia mascherandola da sex-symbol non è lecito nei luoghi seri dell'istruzione. Un provvedimento di questo genere è occasione per spiegare concetti dimenticati, rimettere a nuovi valori stropicciati, re-inaugurare la disciplina, quella vera, che forma la persona e regola la convivenza. E per restituire a bimbe e bimbi il senso dell'infanzia, che non è più pura o più serena o più etica dell'età adulta: è semplicemente un'altra età, che l'imitazione di modelli adulti inaridisce. E rendere obbligatorio lo studio di questi concetti a genitori confusi potrebbe restituirgli la loro divisa: quella di genitori.


Eccoci qui arrivati al capolinea: senso del dovere, serietà dell’istruzione, concetti dimenticati e valori stropicciati (ah quei bei valori di una volta!), disciplina, obbligatorietà. Di fronte a quest’armamentario rivoluzionario non possiamo che alzare bandiera bianca. Tutto è chiaro. La nostra cara opinionista non ha in mente il modello della scuola-carcere, ma quello della vita-lager.
I bambini - ci dice - vanno restituiti all’infanzia, perché i modelli adulti non vanno imitati. I modelli adulti - ce l’ha fatto capire chiaramente - vanno invece imposti, perché tutti i bambini dovranno mettersi una divisa, pronti a diventare come gli adulti: tristi e grigi operai della vita.


Antonio Saccoccio