Intervistatore: Perché pensa che i giovani non trovino quello che cercano all’interno del sistema educativo?
McLuhan: Perché l’istruzione, che dovrebbe aiutare i giovani a comprendere e ad adattarsi ai nuovi ambienti rivoluzionari, viene invece utilizzata solamente come strumento di aggressione culturale, che impone ai giovani re-tribalizzati i valori visuali obsoleti dell’era morente dell’alfabetizzazione. Il nostro intero sistema educativo è reazionario, orientato ai valori e alle tecnologie del passato, e ciò continuerà probabilmente così finché la vecchia generazione non cederà il potere. Il gap generazionale in questo momento è un abisso che separa non due gruppi d’età, ma due culture enormemente divergenti. Posso capire il fermento che attraversa le nostre scuole, poiché il nostro sistema educativo funziona interamente attraverso lo specchietto retrovisore. E’ un sistema morente e sorpassato, fondato su valori alfabetici e su dati frammentari e cataloganti, totalmente inadatto ai bisogni della prima generazione televisiva.
Intervistatore: Come pensa che il sistema educativo possa essere adattato per venire incontro ai bisogni della generazione televisiva?
McLuhan: Bene, prima d’iniziare a fare le cose nel giusto modo, dobbiamo riconoscere che le stavamo facendo nel modo sbagliato - cosa che molti pedagoghi e amministratori, nonché molti genitori, ancora si rifiutano di accettare. Il bambino di oggi cresce in modo assurdo poiché si trova sospeso tra due mondi e tra due sistemi di valori, nessuno dei quali lo conduce verso la maturazione poiché egli non appartiene interamente a nessuno di essi, ma esiste in un limbo ibrido composto da valori perennemente in conflitto tra loro. La sfida della nuova era è semplicemente quella del processo totalmente creativo della crescita - e il mero fatto d’insegnare e ripetere dei fatti è del tutto irrilevante nei confronti di questo processo, nello stesso modo in cui un rabdomante lo è nei confronti di un impianto nucleare. Aspettarsi che il bambino “sempre acceso” dell’era elettronica risponda ai vecchi modelli educativi è un po’ come aspettarsi che un’aquila nuoti. Semplicemente, ciò non fa parte del suo ambiente ed appare, perciò, incomprensibile.
Il bambino dell’era della TV trova difficile, se non impossibile, adattarsi agli obiettivi visuali e frammentati del nostro modello educativo, dopo che tutti i suoi sensi sono stati coinvolti dal mezzo elettronico; egli brama un coinvolgimento in profondità, non un distacco di tipo lineare e dei modelli uniformi e sequenziali. Ma all’improvviso, e senza preparazione alcuna, egli viene strappato dal grembo freddo e inclusivo della televisione ed esposto — all’interno di un’enorme struttura burocratica fatta di corsi e credenziali — al mezzo caldo della stampa. Il suo istinto naturale, condizionato dal mezzo elettronico, è quello di far entrare tutti i suoi sensi in rapporto con il libro che gli viene ordinato di leggere, ma la stampa rifiuta risolutamente questo approccio, postulando la sola attitudine visuale della lettura piuttosto che l’approccio gestaltico dei sensi unificati. Le posizioni di lettura dei bambini della scuola elementare sono una patetica testimonianza degli effetti della televisione; i bambini della generazione televisiva pongono tra l’occhio e il libro una distanza media di quasi 12 centimetri, cercando in modo psicomimetico di trasportare sulla pagina scritta l’esperienza inclusiva di tutti i sensi che essi sperimentano con la TV. Stanno diventando dei Ciclopi, che cercano disperatamente di crogiolarsi nel libro come fanno nello schermo televisivo.
Intervistatore: Pensa sia possibile, per il “bambino dell’era della TV” trovare adattamenti al proprio ambiente educativo attraverso una sintesi tra le tradizionali forme alfabetiche-visuali e le manifestazioni della sua nuova cultura elettronica — oppure il mezzo della stampa sarà destinato a essere, per lui, totalmente non assimilabile?
McLuhan: Una tale sintesi è del tutto possibile, e potrebbe dar vita a una miscela creativa delle due culture — se l’establishment educativo fosse consapevole del fatto che esiste una cultura elettronica. In assenza di una tale elementare consapevolezza, ho paura che il bambino dell’era della TV non avrà futuro nelle nostre scuole. Occorre ricordare che il bambino dell’era della TV è stato esposto senza sosta a tutte le notizie “adulte” del mondo moderno — guerra, discriminazione razziale, rivolte, criminalità, inflazione, rivoluzione sessuale. La guerra del Vietnam ha scritto il suo sanguinoso messaggio sulla sua pelle; è stato testimone dell’assassinio e dei funerali di leader nazionali; è stato mandato in orbita, attraverso gli schermi televisivi, e ha partecipato alla danza degli astronauti nello spazio, è stato inondato da informazioni trasmesse via radio, telefono, film, registrazioni e persone. I suoi genitori lo hanno piazzato davanti allo schermo TV all’età di due anni per tranquillizzarlo, e, raggiunta l’età per andare all’asilo, ha già macinato almeno 4000 ore di televisione. Come mi disse un dirigente dell’IBM, “i miei figli hanno già vissuto diverse vite rispetto ai loro nonni quando hanno iniziato la prima elementare.”
Intervistatore: Se avesse figli abbastanza piccoli da appartenere alla generazione televisiva, come li educherebbe?
McLuhan: Di certo non nelle nostre scuole attuali, che non sono altro che istituti penali intellettuali. Nel mondo odierno, per parafrasare Jefferson, la minore educazione è la migliore educazione, poiché solo poche piccole menti riescono a sopravvivere alle torture intellettuali del nostro sistema educativo. L’immagine a mosaico dello schermo televisivo genera una simultaneità e una presenza profondamente coinvolgenti nelle vite dei bambini, e ciò li porta a disdegnare i lontani obiettivi visuali del sistema educativo tradizionale in quanto irreali, irrilevanti e puerili. Un altro problema fondamentale è il fatto che nelle nostre scuole c’è semplicemente troppo da imparare secondo il metodo analitico tradizionale; questa è un’epoca di sovraccarico informativo. Il solo modo per far sì che le scuole non siano prigioni senza sbarre è ricominciare da capo, con nuove tecniche e nuovi valori.
[tratto da: Intervista a Marshall McLuhan, Playboy Magazine, Marzo 1969]
Ciao Antonio.
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