giovedì 15 ottobre 2015

Le sette lezioni di John Taylor Gatto: 6. Autostima provvisoria

6. AUTOSTIMA PROVVISORIA

La sesta lezione che insegno è quella dell’autostima provvisoria. Se avete mai provato a lottare con un ragazzo giunto al livello in cui i genitori lo hanno convinto a credere che lo ameranno malgrado tutto, sapete già quanto impossibile sia riuscire a conformare gli spiriti che sono sicuri di sé. Il nostro mondo non sopravvivrebbe a lungo ad un’alluvione di persone sicure di sé, quindi io insegno che il rispetto di sé dovrebbe essere subordinato all’opinione di un esperto. I miei ragazzi sono costantemente valutati e giudicati. Una relazione mensile, la cui preparazione è impressionante, viene inviata a casa degli studenti per segnalare l’approvazione o per indicare esattamente, fino ad un particolare punto percentuale, quanto dovrebbero essere scontenti i genitori dei loro figli. L’ecologia della “buona” istruzione dipende dal fatto di perpetuare l’insoddisfazione, proprio quanto l’economia commerciale dipende dallo stesso fertilizzante. Benché alcune persone possano essere sorprese di quanto poco tempo o riflessione ci voglia per raggiungere questi record matematici, il peso complessivo di documenti apparentemente oggettivi stabilisce un profilo che obbliga i bambini a giungere a certe decisioni su loro stessi ed il loro futuro basate sul giudizio accidentale di un estraneo. L’auto-valutazione, argomento principale di ogni grande sistema filosofico che sia mai apparso sul pianeta, non è mai considerata un fattore. La lezione delle pagelle, dei voti, e degli esami è che i bambini non dovrebbero aver fiducia in se stessi o nei loro genitori, ma dovrebbero invece fare affidamento sulla valutazione di funzionari certificati. La gente ha bisogno di sentirsi dire quanto vale.

John Taylor Gatto

mercoledì 6 maggio 2015

Il teatrino degli esami (di Ferdinando Ciani)

Ci si appresta come ogni anno al solenne rito degli esami. Passata di scena la prova di 5° classe nella scuola primaria, con un po’ di rammarico da parte di  tante maestre ma sicuramente non da parte degli allievi, rimangono gli esami di terza media e quelli della maturità. Quasi a voler compensare l’assenza dell’esame di 5°, quello di terza media è stato reso alquanto impegnativo: cinque prove scritte e un colloquio orale su tutte le materie. In relazione all’età un esame più complesso di quello di maturità o di un esame di laurea. Certo la teoria per cui un esame deve mettere alla prova l’allievo, perché le prove fanno crescere e comunque è necessario testare la maturità dei giovani prima che entrino nel mondo delle responsabilità sociali, ha sicuramente qualche fondamento. Il dubbio semmai viene guardando come sono pensati e realizzati: contenuti da sapere, saper ripetere o saper commentare, meglio se secondo il pensiero guida dell’insegnante. La maturità che la società dovrebbe verificare  viene così falsificata sia da un tipo di apprendimento “canalizzato”  sia dal conseguente disinteresse della maggior parte degli allievi per la maggior parte di quei contenuti. Ogni insegnante inoltre conosce bene cosa sa o non sa ogni suo allievo; lo ha seguito per anni , nel bene o nel male e non ha certo bisogno di nuove prove per scoprirlo. Gli esami divengono con ciò un’ enorme finzione collettiva in cui allievi, insegnanti e commissari  esterni  recitano la parte assegnata: i primi dimostrando di aver bene imparato il copione, i secondi emettendo giudizi di cui conoscono già l’approssimazione e  la presunzione, i terzi controllando che l’apparenza   del sistema sia salva. Quale maturità si può verificare con un esame in cui l’allievo può solo rispondere a  domande dalla soluzione obbligata? Ed è davvero una prova temprante quella a cui viene sottoposto o una semplice prova di  resistenza allo stress? Occorre uscire da questo teatrino antiquato degli esami per ridare senso a tutta la scuola, perché tutta la scuola, la vita di classe, i programmi, le valutazioni, i rapporti con le famiglie e con gli allievi, in fondo, dipendono dagli esami finali, convergono verso quell’unica  meta che è il riuscire a superarli. Perché invece non trasformare gli esami in occasioni di ricerca? Chiedere ad esempio agli allievi  di affrontare temi di loro scelta (o scelti assieme ai propri insegnanti in relazione al  tipo di scuola frequentato) compiendo vere ricerche sperimentali in cui mettersi  davvero alla prova, che siano la somma, il compendio di tutto ciò che hanno sviluppato nel proprio percorso scolastico, non solo in termini di conoscenze ma di capacità progettuale,di fantasia, di capacità tecnica, di capacità analitica e critica, di espressione, di lavoro cooperativo, etc.; una sorta di  tesi di laurea che esprima davvero la maturità del candidato, il suo pensiero, il suo lavoro, la sua intelligenza. Un esame in cui gli esaminatori ascoltino più che chiedere; che serva ad accrescere il piacere per la conoscenza negli allievi ma anche tra gli stessi insegnanti, questi ultimi sempre più demotivati da un sapere trasmesso ma non ricevuto dai ragazzi. Un esame capace di trascinare tutto l’indotto precedente in una nuova visione di scuola dove non si ripetono sempre e solo  le stesse nozioni astratte, gli stessi programmi, ma si impara a ricercare, a pensare e ad esprimere i propri talenti per la propria felicità e per il bene comune.

Ferdinando Ciani

venerdì 24 aprile 2015

Le sette lezioni di John Taylor Gatto: 5. Dipendenza intellettuale

5. DIPENDENZA INTELLETTUALE

La quinta lezione che insegno è quella della dipendenza intellettuale. Le persone in gamba aspettano che un insegnante dica loro cosa fare. E’ la lezione più importante: dobbiamo attendere che altre persone, più esperte di noi, creino i significati delle nostre vite. L’esperto fa tutte le scelte importanti; solo io, l’insegnante, sono in grado di stabilire cosa voi dobbiate studiare, o piuttosto, solo le persone che mi pagano possono prendere quelle decisioni che io poi metto in atto. Se mi viene detto che l’evoluzione è un dato di fatto e non una teoria, io trasmetto questo come mi è stato ordinato, punendo i devianti che si oppongono a ciò che mi è stato detto di dire loro di pensare. Questo potere di controllare ciò che i bambini penseranno mi permette di separare con successo gli studenti dai fallimenti molto facilmente. I bambini di successo pensano che io li nomini con un minimo di resistenza e un’onesta parvenza di entusiasmo. Tra milioni di cose che meriterebbero di essere studiate, stabilisco io qual è quel poco per cui abbiamo tempo, o meglio, sono i miei anonimi datori di lavoro che lo decidono. Le scelte spettano a loro, perché dovrei discutere? La curiosità non ha un ruolo importante nel mio lavoro, solo la conformità ce l’ha. Naturalmente i ragazzi cattivi sfidano tutto ciò, anche se mancano loro i concetti per sapere contro cosa combattono, e lottano per prendere decisioni per se stessi su cosa impareranno e quando lo impareranno. Come possiamo permettere questo e nello stesso tempo sopravvivere come insegnanti? Per fortuna ci sono dei metodi per forzare la volontà di coloro che oppongono resistenza; certo, è più difficile se il ragazzo ha dei buoni genitori che vengono in suo aiuto, ma questo accade sempre meno, malgrado la cattiva reputazione che hanno le scuole. A dire il vero, io non ho mai incontrato nessun genitore appartenente al ceto medio che pensasse che la scuola di suo figlio rientrasse tra quelle scadenti. Non un solo genitore in ventisei anni d’insegnamento. Questo è sorprendente ed è probabilmente la miglior testimonianza di ciò che accade alle famiglie quando madre e padre sono stati essi stessi ben istruiti, attraverso l’insegnamento delle sette lezioni. Le persone in gamba aspettano che sia un esperto a dir loro cosa fare. Non è certo un’esagerazione affermare che la nostra intera economia dipende da quanto viene appresa questa lezione. Pensate che rovina se i ragazzi non venissero educati ad essere dipendenti: le imprese che si occupano di servizi sociali non potrebbero certo sopravvivere; sparirebbero, penso, in quel limbo della storia recente dal quale sono sorte. Consulenti e terapeuti guarderebbero con orrore sparire le loro scorte di invalidi psichici. L’intrattenimento commerciale di ogni sorta, compresa la televisione, appassirebbe nel momento in cui la gente imparasse di nuovo a divertirsi da sé. Ristoranti, rosticcerie e un gran mucchio di altri servizi assortiti legati alla ristorazione verrebbero drasticamente ridimensionati se le persone tornassero a prepararsi il cibo da sole, invece di dipendere da estranei che piantano, raccolgono, tritano, e cucinano per loro. Anche una buona parte del diritto moderno, della medicina, e dell’ingegneria verrebbe meno, così come l’industria dell’abbigliamento e l’insegnamento scolastico, a meno che ogni anno una scorta assicurata di persone incapaci non continuasse ad uscire a frotte dalle nostre scuole. Non siate troppo pronti a votare a favore della riforma radicale della scuola, se volete continuare a ricevere la busta paga. Abbiamo costruito un modo di vivere che dipende da persone che fanno ciò che viene loro detto, perché non sanno come dire a loro stesse cosa fare. Questa è una delle più grandi lezioni che insegno.


John Taylor Gatto

giovedì 26 marzo 2015

Poletti e le vacanze scolastiche: l'ennesimo inno all'ansia produttivistica contemporanea

Il ministro del Lavoro Poletti ha dichiarato che occorre ridurre le vacanze estive dei ragazzi sostituendole con percorsi formativi e lavorativi. La sua demonizzazione delle “vacanze”, unita alla glorificazione della “formazione” e del “lavoro”, costituiscono la grottesca decadente rappresentazione del pensiero totale che ha condotto il mondo occidentale nell’attuale profondissima crisi culturale, sociale, morale e intellettuale. Ciò che sconcerta maggiormente è l’incapacità della quasi totalità dei politici di professione (anche appartenenti alle “opposizioni”) di rispondere adeguatamente a simili sproloqui.
Ci ha pensato, in parte, Massimo Cacciari, intervistato dal “Fatto Quotidiano”, a ridicolizzare le affermazioni ministeriali. In realtà le prime affermazioni del filosofo sono state piuttosto vaghe e non hanno colto affatto il bersaglio. Di ben altro tenore la seconda parte dell’intervista, in cui ha finalmente toccato due temi fondamentali. Innanzitutto viene smontato l’assioma per cui le “vacanze” siano da considerarsi tempo perso per la formazione. Afferma Cacciari, con la sicurezza di chi sa di non poter essere smentito: “Le vacanze mi hanno formato diecimila volte più di due anni scolastici”. È davvero uno spettacolo penoso ascoltare ministri che ancora credono all’idea gretta e reazionaria di una scuola che forma e costruisce e di una vacanza che distrugge. Solo aumentando il tempo non alienato è possibile aumentare le nostre libere conoscenze.
L’altro affondo di Cacciari è contro “l’idea trogloditica che la produttività si misuri sul tempo di lavoro”. E poi precisa con puntualità: “In un’epoca in cui, grazie allo sviluppo tecnologico, il 90 per cento del lavoro potrebbe essere svolto utilmente da casa, questi arcaici predicatori vanno in giro a dire che bisogna stare più tempo a scuola o in ufficio. Come se studiare o lavorare un mese in più facesse la differenza. Un ragionamento talmente comico che non ci si crede. Sembra che siano fermi a prima dell’invenzione del telefono, questi signori”.
In realtà questi signori sono fermi a prima dell’invenzione del telegrafo. Non si sono resi conto che il modello sociale emergente non è e non può più essere quello della scuola dell’obbligo e del lavoro alienato. Non ci vuole di certo Cacciari per prendere atto che tutto quello che si apprende in due anni scolastici potrebbe essere appreso decisamente meglio in un mese liberamente impiegato nell’approfondimento (magari cooperativo) dei propri interessi, e senza marchiare questo mese con l’istituzionale parola “formazione”. E non ci vuole Cacciari per comprendere che l’automazione ci ha liberato da gran parte del lavoro e che il tempo libero andrebbe accolto con gioia e non trasformato nella tristezza della disoccupazione (Illich resta ancora un punto di riferimento). Cacciari non porta però alle ultime conseguenze il suo discorso, non arriva a dire che i politici come Poletti non dovrebbero avere come obiettivo quello di privare i giovani degli unici tre mesi di libertà, ma dovrebbero pensare a estendere quella libertà anche agli adulti, soffocati, divorati e demoliti dall’ansia produttiva. Fino a quando avremo politici che vogliono traghettarci nel XXI secolo con la loro mente rivolta all’Ottocento, saremo costretti alla paralisi culturale e sociale. È ora che almeno una parte dei politici si renda conto che per affrontare la crisi non abbiamo bisogno di respirare meno e studiare/lavorare di più, ma necessitiamo esattamente della cura opposta. Più aria e vacanze per tutti.

venerdì 13 febbraio 2015

Le sette lezioni di John Taylor Gatto: 4. Dipendenza emotiva

4. DIPENDENZA EMOTIVA

La quarta lezione che insegno è quella della dipendenza emotiva. Con stelle e segni rossi, sorrisi e occhiatacce, premi, onori e disonori, io insegno ai ragazzi a rinunciare alla loro volontà in favore della catena di comando prestabilita. I diritti possono essere concessi o negati senza appello da qualsiasi autorità, perché i diritti non esistono all’interno di una scuola – nemmeno il diritto alla libertà di parola, come stabilito dalla Corte Suprema – a meno che le autorità scolastiche non dicano diversamente. Come insegnante, io intervengo in molte decisioni personali, fornendo un permesso a coloro che ritengo giustificati, o dando inizio ad un confronto disciplinare per comportamenti che minacciano il mio controllo. L’individualità tenta costantemente di affermarsi tra i bambini e gli adolescenti, per cui le mie sentenze arrivano velocemente e in abbondanza. L’individualità rappresenta una contraddizione della teoria di classe, una maledizione per tutti i sistemi di classificazione. Ecco alcuni dei modi più comuni in cui si manifesta: i bambini sgusciano fuori per godersi un momento in privato in bagno col pretesto di un bisogno urgente, oppure rubano un istante tutto per loro in corridoio perché devono bere. Lo so che in realtà non ne hanno bisogno, ma permetto loro di imbrogliarmi perché questo li condiziona a dipendere dalla mia approvazione. A volte la libera volontà appare proprio di fronte a me in bambini arrabbiati, depressi o felici per delle cose che sono al di là della mia comprensione; i diritti relativi a queste materie non possono essere riconosciuti dagli insegnanti, solo i privilegi che possono essere revocati, garanzie di una buona condotta.

John Taylor Gatto