Il ministro del Lavoro Poletti ha dichiarato che occorre ridurre le vacanze estive dei ragazzi sostituendole con percorsi
formativi e lavorativi. La sua demonizzazione delle “vacanze”, unita alla
glorificazione della “formazione” e del “lavoro”, costituiscono la grottesca decadente
rappresentazione del pensiero totale che ha condotto il mondo occidentale nell’attuale
profondissima crisi culturale, sociale, morale e intellettuale. Ciò che
sconcerta maggiormente è l’incapacità della quasi totalità dei politici di
professione (anche appartenenti alle “opposizioni”) di rispondere adeguatamente
a simili sproloqui.
Ci ha pensato, in
parte, Massimo Cacciari, intervistato dal “Fatto Quotidiano”, a ridicolizzare
le affermazioni ministeriali. In realtà le prime affermazioni del filosofo sono
state piuttosto vaghe e non hanno colto affatto il bersaglio. Di ben altro
tenore la seconda parte dell’intervista, in cui ha finalmente toccato due temi
fondamentali. Innanzitutto viene smontato l’assioma per cui le “vacanze” siano
da considerarsi tempo perso per la formazione. Afferma Cacciari, con la
sicurezza di chi sa di non poter essere smentito: “Le vacanze mi hanno formato
diecimila volte più di due anni scolastici”. È davvero uno spettacolo penoso ascoltare
ministri che ancora credono all’idea gretta e reazionaria di una scuola che
forma e costruisce e di una vacanza che distrugge. Solo aumentando il tempo non alienato è possibile aumentare le nostre libere conoscenze.
L’altro affondo di Cacciari
è contro “l’idea trogloditica che la produttività si misuri sul tempo di
lavoro”. E poi precisa con puntualità: “In un’epoca in cui, grazie allo
sviluppo tecnologico, il 90 per cento del lavoro potrebbe essere svolto
utilmente da casa, questi arcaici predicatori vanno in giro a dire che bisogna
stare più tempo a scuola o in ufficio. Come se studiare o lavorare un mese in
più facesse la differenza. Un ragionamento talmente comico che non ci si crede.
Sembra che siano fermi a prima dell’invenzione del telefono, questi signori”.
In realtà questi
signori sono fermi a prima dell’invenzione del telegrafo. Non si sono resi
conto che il modello sociale emergente non è e non può più essere quello della
scuola dell’obbligo e del lavoro alienato. Non ci vuole di certo Cacciari per
prendere atto che tutto quello che si apprende in due anni scolastici potrebbe
essere appreso decisamente meglio in un mese liberamente impiegato
nell’approfondimento (magari cooperativo) dei propri interessi, e senza marchiare
questo mese con l’istituzionale parola “formazione”. E non ci vuole Cacciari
per comprendere che l’automazione ci ha liberato da gran parte del lavoro e che
il tempo libero andrebbe accolto con gioia e non trasformato nella tristezza
della disoccupazione (Illich resta ancora un punto di riferimento). Cacciari non porta però alle ultime conseguenze il suo discorso, non arriva a dire che i politici come Poletti non dovrebbero avere come obiettivo quello di
privare i giovani degli unici tre mesi di libertà, ma dovrebbero pensare a estendere quella libertà anche agli adulti, soffocati, divorati e demoliti dall’ansia
produttiva. Fino a quando avremo politici che vogliono traghettarci nel XXI
secolo con la loro mente rivolta all’Ottocento, saremo costretti alla paralisi culturale e sociale. È ora che almeno una parte dei politici si
renda conto che per affrontare la crisi non abbiamo bisogno di respirare meno e
studiare/lavorare di più, ma necessitiamo esattamente della cura opposta. Più
aria e vacanze per tutti.
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