mercoledì 6 maggio 2015

Il teatrino degli esami (di Ferdinando Ciani)

Ci si appresta come ogni anno al solenne rito degli esami. Passata di scena la prova di 5° classe nella scuola primaria, con un po’ di rammarico da parte di  tante maestre ma sicuramente non da parte degli allievi, rimangono gli esami di terza media e quelli della maturità. Quasi a voler compensare l’assenza dell’esame di 5°, quello di terza media è stato reso alquanto impegnativo: cinque prove scritte e un colloquio orale su tutte le materie. In relazione all’età un esame più complesso di quello di maturità o di un esame di laurea. Certo la teoria per cui un esame deve mettere alla prova l’allievo, perché le prove fanno crescere e comunque è necessario testare la maturità dei giovani prima che entrino nel mondo delle responsabilità sociali, ha sicuramente qualche fondamento. Il dubbio semmai viene guardando come sono pensati e realizzati: contenuti da sapere, saper ripetere o saper commentare, meglio se secondo il pensiero guida dell’insegnante. La maturità che la società dovrebbe verificare  viene così falsificata sia da un tipo di apprendimento “canalizzato”  sia dal conseguente disinteresse della maggior parte degli allievi per la maggior parte di quei contenuti. Ogni insegnante inoltre conosce bene cosa sa o non sa ogni suo allievo; lo ha seguito per anni , nel bene o nel male e non ha certo bisogno di nuove prove per scoprirlo. Gli esami divengono con ciò un’ enorme finzione collettiva in cui allievi, insegnanti e commissari  esterni  recitano la parte assegnata: i primi dimostrando di aver bene imparato il copione, i secondi emettendo giudizi di cui conoscono già l’approssimazione e  la presunzione, i terzi controllando che l’apparenza   del sistema sia salva. Quale maturità si può verificare con un esame in cui l’allievo può solo rispondere a  domande dalla soluzione obbligata? Ed è davvero una prova temprante quella a cui viene sottoposto o una semplice prova di  resistenza allo stress? Occorre uscire da questo teatrino antiquato degli esami per ridare senso a tutta la scuola, perché tutta la scuola, la vita di classe, i programmi, le valutazioni, i rapporti con le famiglie e con gli allievi, in fondo, dipendono dagli esami finali, convergono verso quell’unica  meta che è il riuscire a superarli. Perché invece non trasformare gli esami in occasioni di ricerca? Chiedere ad esempio agli allievi  di affrontare temi di loro scelta (o scelti assieme ai propri insegnanti in relazione al  tipo di scuola frequentato) compiendo vere ricerche sperimentali in cui mettersi  davvero alla prova, che siano la somma, il compendio di tutto ciò che hanno sviluppato nel proprio percorso scolastico, non solo in termini di conoscenze ma di capacità progettuale,di fantasia, di capacità tecnica, di capacità analitica e critica, di espressione, di lavoro cooperativo, etc.; una sorta di  tesi di laurea che esprima davvero la maturità del candidato, il suo pensiero, il suo lavoro, la sua intelligenza. Un esame in cui gli esaminatori ascoltino più che chiedere; che serva ad accrescere il piacere per la conoscenza negli allievi ma anche tra gli stessi insegnanti, questi ultimi sempre più demotivati da un sapere trasmesso ma non ricevuto dai ragazzi. Un esame capace di trascinare tutto l’indotto precedente in una nuova visione di scuola dove non si ripetono sempre e solo  le stesse nozioni astratte, gli stessi programmi, ma si impara a ricercare, a pensare e ad esprimere i propri talenti per la propria felicità e per il bene comune.

Ferdinando Ciani

2 commenti:

  1. mah forse un problema nasce anche da come un insegnante medio intenda il suo ruolo. Ci si deprime perché l'insegnamento non è valorizzato o peggio perché la società considera marginale il ruolo del docente (malpagato e peggio considerato), ma non ci si pone il problema se e come questa figura debba, possa e voglia aggiornarsi non tanto nei contenuti del sapere (che diamo per scontato siano adeguati) quanto per come la sua figura si possa collocare ed esprimere in una società mutata. In realtà è facile dire che il mondo è cambiato intendendo che sono stati spazzati via diritti, welfare, lavoro; ma non è affatto facile indicare i sentieri del cambiamento e le loro mete. E il momento degli esami mi sembra, in tal senso, rivelatore.
    Insomma, per esser brevi, un docente che sieda alla cattedra tende, sovente, a riproporre i propri maestri, e non funziona più così.
    Ma quanti, tra docenti e formatori (evitiamo di parlare di diesse) si interrogano a riguardo e percepiscono che la scuola, ad onta dei numerosi proclami, si sbriciola al suo interno?

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  2. Premetto che la ideologia di Illich mi affascina e intriga, ma allo stesso tempo certi punti non mi hanno (ancora) convinto, forse anche a causa di una mia comprensione lacunosa dei suoi scritti, che spero la lettura di materiale affine, come per esempio questo blog, possa colmare. Ciò che mi interesserebbe prima di tutto sapere è se la descolarizzazione debba essere applicata solo alla scuola dell’obbligo o anche al sistema universitario.
    Non mi trovo d’accordo su due punti di questo articolo.
    I contenuti da presentare agli esami sono da saper ripetere secondo il pensiero guida dell’insegnante. Innanzitutto credo che buona parte degli insegnanti accettino e incoraggino nell’alunno la tendenza a criticare anche in maniera anticonvenzionale l’insegnamento tramandatogli. In secondo luogo, per sviluppare teorie personali è quasi sempre necessario o quantomeno efficace conoscere profondamente il pensiero attuale al riguardo. Fornire questa conoscenze mi sembra uno scopo delle scolarizzazione.
    Chiedere agli allievi di affrontare temi a loro scelta. Questo accade sempre. Il nome, forse un po’ infelice, di “tesina” definisce proprio la ricerca che l’alunno fa in base alle proprie preferenze e, alle superiori, al tipo di scuola che ha frequentato.

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