Carlo Michelstaedter è una di quelle figure che dobbiamo rimpiangere. Dobbiamo rimpiangere soprattutto la sua morte prematura, quel colpo di rivoltella con cui si tolse la vita a soli 23 anni. Pochi giorni dopo la morte, Giovanni Papini scrisse che si era suicidato per "accettare sino all’ultimo onestamente e virilmente le conseguenze delle sue idee".
Le sue tesi sulla retorica e la persuasione sono ancora oggi ricche di ottimi spunti critici. E le pagine che sentiamo più vive sono proprio quelle dedicate alla critica della scuola e dell'educazione. Ripercorriamo quelle pagine, tratte da "La Persuasione e la Rettorica" (1910), che fu - badate bene! - la sua tesi di laurea.
Ma il giovane filosofo goriziano va anche oltre questa constatazione. La dissociazione tra piacere e dovere è un altro aspetto fondamentale della questione. E anche questa parte con la scuola.
L'indifferenza e l'alienazione di tutta una vita partono così da quel meccanismo terrificante che è la scuola e lo studio utilitaristico. La drammatica indifferenza verso ciò che si legge e si studia. Dante, Leopardi, Seneca e Platone trasformati in mezzi per ottenere il dolcetto, il premio, il successo. L'ammaestramento e l'indottrinamento a cui sono sottoposte le giovani menti, con tutte le convenzioni sociali e i luoghi comuni mascherati da alti pensieri: tutto ciò grazie all'istituzione scolastica.
Le sue tesi sulla retorica e la persuasione sono ancora oggi ricche di ottimi spunti critici. E le pagine che sentiamo più vive sono proprio quelle dedicate alla critica della scuola e dell'educazione. Ripercorriamo quelle pagine, tratte da "La Persuasione e la Rettorica" (1910), che fu - badate bene! - la sua tesi di laurea.
La peggior violenza si esercita così sui bambini sotto la maschera dell’affetto e dell’educazione civile. Poiché colla promessa di premi e la minaccia dei castighi che speculano sulla loro debolezza e colle carezze e i timori che alla loro debolezza danno vita, lontani dalla libera vita del corpo, si stringono alle forme necessarie in una famiglia civile: le quali come nemiche alla loro natura si devono appunto imporre colla violenza o colla corruzione. [...]Occorre riflettere attentamente - lo abbiamo detto più volte - su questa idea del "mito della scuola". Michelstaedter giustamente parla del "mito" del bravo scolaro. E' proprio facendo forza su questo mito che si può violentare e ingabbiare i bambini, i ragazzi.
«Tu sarai un bravo ragazzo come quelli che vedi là andare alla scuola, sarai come un grande». Gli si forma il mito di questo bravo scolaro grande, e ogni cosa appartenente allo studio, alla scuola acquista un dolce sapore: l’andare a scuola, la borsa per i libri ecc. E si forma la gerarchia dei valori in rapporto alla superiorità della classe: «Se sarai bravo, il prossimo anno, non scriverai più sulla lavagna, ma in quaderno!» e con l’inchiostro!». Tutti approfittano di quest’anima in provvisorio che sogna «il tempo quando sarà grande», per violentarla, «incamiciarla», ammanettarla, metterla in via assieme agli altri a occupare quel dato posto, e respirar quella data aria sulla gran via polverosa della civiltà.
Ma il giovane filosofo goriziano va anche oltre questa constatazione. La dissociazione tra piacere e dovere è un altro aspetto fondamentale della questione. E anche questa parte con la scuola.
Fin dai primi doveri che gli si impongono, tutto lo sforzo tende a renderlo indifferente a quello che fa, perché pur lo faccia secondo le regole con tutta oggettività. «Da una parte il dovere dall’altra il piacere». «Se studierai bene, poi ti darò un dolce – altrimenti non ti permetterò di giuocare». E il bambino è costretto a mettersi in capo quei dati segni della scrittura, quelle date notizie della storia, per poi avere il premio dolce al suo corpo.
«Hai studiato – adesso puoi giuocare!».
E il bambino s’abitua a considerar lo studio come un lavoro necessario per viver contenti, se anche in sé sia del tutto indifferente alla sua vita: ai dolci, al giuoco ecc. Così gli si impongono le determinate parole, i determinati luoghi comuni, i determinati giudizi, tutti i καλλωπίσματα della convenienza e della scienza, che per lui saranno sempre privi di significato in sé ed avranno sempre soltanto tutti quel costante senso: è necessario per poter avere il dolce, per poter giuocare in pace: la sufficienza e il calcolo.
Quando al dolce e al giuoco si sostituisca il guadagno, «la possibilità di vivere» –: «la carriera», «la via fatta», «le professioni» – lo studio o la qualsiasi occupazione conserveranno il senso che il primo dovere aveva: indifferente, oscuro, ma necessario per poter giocare poi, cioè per poter vivere ai miei gusti, per mangiare, bere e dormire e prolificare.
L'indifferenza e l'alienazione di tutta una vita partono così da quel meccanismo terrificante che è la scuola e lo studio utilitaristico. La drammatica indifferenza verso ciò che si legge e si studia. Dante, Leopardi, Seneca e Platone trasformati in mezzi per ottenere il dolcetto, il premio, il successo. L'ammaestramento e l'indottrinamento a cui sono sottoposte le giovani menti, con tutte le convenzioni sociali e i luoghi comuni mascherati da alti pensieri: tutto ciò grazie all'istituzione scolastica.
Così ne potremo fare un degno braccio irresponsabile della società: Un giudice, che giudichi impassibile, tirando la proiezione dalla figura che l’istruttoria gli presenti sulle coordinate del suo codice, senza chiedersi se questo sia giusto o meno. Un maestro, che tenga 4 ore al giorno 80, 90 bambini chiusi in uno stanzone, li obblighi a star immobili, a ripetere ciò che egli dica, a studiare quelle date cose, lodandoli se studino e siano disciplinati, castigandoli se non studino e non s’adattino alla disciplina, – e non s’accorga d’esser un uomo che sta esercitando violenza sul suo simile, che ne porterà le conseguenze per tutta la vita, senza sapere perché lo faccia e perché così lo faccia – ma secondo il programma imposto. Un boia, che quando uccida un uomo non pensi, che egli, un uomo, uccide un suo simile, senza sapere perché l’uccida. Perché egli non veda mai altro in tutto ciò che quell’ufficio indifferente su cui non si discute ma che gli dà i mezzi per vivere, e sia istrumento inconsapevole. [...]
Come al bambino si diceva: «fai come dice il babbo che ne sa più di te, e non occorre che tu domandi ‘perché’, obbedisci e non ragionare, quando sarai grande capirai». Così si conforta il giovane a perseguire nel suo studio scientifico senza che si chieda che senso abbia, dicendogli: «tu cooperi all’immortale edificio della futura armonia delle scienze e sarà un po’ anche merito tuo se gli uomini quando saranno grandi, un giorno sapranno». Ma gli uomini temo che siano sì bene incamminati, che non verrà loro mai il capriccio di uscir della tranquilla e serena minore età.
L'arte della ripetizione meccanica, immobile e imbecille. L'arte dell'imbecille disciplina e dell'imbecillissima obbedienza.
Carlo Michelstaedter: anno 1910.
Antonio Saccoccio
è improponibile il modo in cui lo strumento principale di autoconservazione dell'istituzione scolastica si basi sul rinforzo. Specie se poi questo diventa il semplice "bel voto", ossia un rinforzo privo di riscontri reali.
RispondiEliminaIl dinosauro del comportamentismo si aggira ancora tra le aule...
Già, Stefano, ce lo insegna Pavlov...
RispondiElimina"Il riflesso condizionato è una reazione prodotta nell’animale in cattività da un elemento esterno, che l’animale si abitua ad associare ad un preciso stimolo (presentato subito dopo durante la fase di condizionamento; subito prima una volta effettuato il condizionamento). Il primo agente diventa perciò lo stimolo chiave, ciò che attiva il riflesso condizionato."
Mi piace sottolineare il concetto di "animale in cattività"...