Una buona descrizione del Liceo Sperimentale (LUSS, come recitava la
targa appesa accanto al portone della scuola: Liceo Unitario Statale Sperimentale)
è quella data dal professor Turchi (mi sembra di ricordare che nel nostro liceo
insegnasse scienze) sul sito Treccani.it.[1] Il punto fondamentale è che, differenza da
tutte le altre sperimentazioni realizzate in alcune sezioni di alcune scuole
negli anni Settanta, sperimentazioni che toccavano appena la didattica e in
parte l’offerta formativa, nel Liceo Sperimentale la sperimentazione si
concretizzava nella completa autogestione. Ogni aspetto, didattico,
organizzativo, disciplinare, era stabilito dall’Assemblea Generale, che riuniva
le tre componenti della scuola: insegnanti, studenti, genitori. E poiché il
criterio di suffragio era “un uomo, un voto” il peso della componente
studentesca era tale da poter essere compensato solo dall’”alleanza” di
insegnanti e genitori. Di fatto la gestione era comune sotto ogni punto di
vista.
Le materie curricolari, insegnate la mattina, erano più o meno quelle
consuete nei licei; il primo biennio era comune a tutti, nel triennio si poteva
scegliere fra due indirizzi, classico e scientifico. La didattica era
organizzata principalmente intorno al lavoro di gruppo, da svolgersi in classe,
senza libri di testo che tracciassero la rotta. C ’era però a disposizione una biblioteca
d’istituto eccezionale, a scaffale aperto, ricchissima, gestita col contributo
volontario e gratuito di genitori-bibliotecari (ricordo la signora Mayer , la signora Pannilini
accanto alla stufetta elettrica). L’interdisciplinarietà era la bandiera di
ogni materia d’insegnamento, che si incontrava e si intrecciava – talvolta
pretestuosamente - con altre affini. La storia contemporanea era privilegiata e
i programmi partivano sempre dall’oggi per risalire al passato; anche
nell’insegnamento delle materie scientifiche la dimensione storica era tenuta
presente. I banchi era disposti (come da consuetudini montessoriane) a ferro di
cavallo; si usavano quadernoni ad anello in modo da spostare blocchi di appunti
da un settore o da un quaderno all’altro secondo le esigenze. Le classi erano
nel biennio di una quindicina di alunni, nel mio triennio eravamo in nove. Soprattutto,
non c’erano voti, ma una valutazione discorsiva di fine anno, che consisteva
più un feedback che in un giudizio. Non c’erano compiti in classe e neppure a
casa; si rimaneva infatti a scuola fino a metà pomeriggio, ma non per esercitarsi
nelle materie della mattina bensì per seguire infiniti corsi
“extra-curricolari” liberamente scelti da ciascuno che mescolavano gli allievi
di sezioni ed età differenti. Non c’erano bocciature.
In un simile contesto scolastico, per quanto riguardava me, ero in
salvo. Niente angoscia, quindi nessuna necessità di oppormi. In questo senso il
Liceo Sperimentale è stata la mia liberazione e salvezza.
Sono del tutto evidenti i due punti deboli di una simile scuola:
l’assenza di spazi per l’esercizio individuale, specie per quello più
ripetitivo e noioso che quasi ogni studente evita volentieri, e l’assenza di
strumenti di motivazione coercitiva, cioè brutti voti e minacce di bocciatura.
La deriva verso il paese dei balocchi probabilmente era congenita nella
struttura stessa della scuola, così come era stata concepita, ma avrebbe potuto
essere in parte arginata se lo spirito montessoriano delle origini –
un’attitudine di serio lavoro in cui vigeva un’autodisciplina scaturita dalla
partecipazione attiva all’interno di un piccolo gruppo omogeneo e fortemente
motivato – avesse potuto resistere allo spirito dei tempi. Che però non andava
verso i Boy Scout ma verso la Rivoluzione.
Il boom delle iscrizioni dell’anno scolastico 1972-73 si tradusse,
l’anno successivo, grazie alla piena autogestione, in uno spostamento del
baricentro politico della scuola verso sinistra. Il favore che fino ad allora
il Ministero aveva accordato alla sperimentazione scomparve improvvisamente. La
componente cattolica e montessoriana, ormai ben poco rilevante, si dissolse con
il trasferimento d’ufficio ad altro incarico della preside Pecchia e di alcuni
insegnanti. Nell’aprile 1974 la palazzina di via Panzini, che era stata
assegnata alla scuola nel 1972, venne dichiarata inagibile dai Vigili del Fuoco.
Si profilava, di fatto, la fine dell’esperimento e lo scioglimento
dell’istituto. A questa prospettiva l’Assemblea Generale reagì con la decisione
di occupare (in accordo con la Circoscrizione) un edificio abbandonato su via
della Bufalotta, oltre il Grande Raccordo Anulare, in mezzo alla campagna:
l’ex-IRASPS.
L’occupazione e la successiva risistemazione del fatiscente edificio
fu il secondo momento mitico fondativo nella storia dello Sperimentale. Un
momento che può essere ricordato in modi differenti: come un gesto di lotta
politica, come un avventuroso romantico slancio di tutta una comunità, come un
rilancio esaltato, utopico e isolazionista. Parteciparono tutti, studenti,
genitori, insegnanti, venne fatta una colletta e fu un gran lavoro di mani e di
braccia. Alla fine c’erano i vetri alle finestre, le pareti ripulite e decorate
di murales, una bandiera rossa sul tetto. Le istituzioni, da parte loro, piegate
infine dalla lotta, collaborarono con la fornitura di un congruo numero di
vecchie stufe a legna di ghisa.
Venne affrontato il problema di ciò che altrove era considerato disciplina,
e che allo Sperimentale era anzitutto una questione di democrazia. Lungamente
discusso e dibattuto, osteggiato dalle componenti più radicali, sostenuto dai
moderati, cioè dall’area che si riconosceva nel PCI, venne infine approvato nel
giugno 1974 un Regolamento. Lo si può leggere all’indirizzo http://liceosperimentale.weebly.com/regolamento.html
nel sito dedicato allo Sperimentale curato da Roberto Renzetti, allora
professore di fisica nella nostra scuola. La nostra Costituzione ,
per così dire, prevedeva dei limiti all’attività politica nella scuola, limiti
assai ampi ma pur sempre limiti, e delle sanzioni nel caso di assenze massicce
dalle lezioni. La bocciatura era possibile solo nel caso di assenze superiori
al 35% in almeno 4 materie. L’attenzione del legislatore si concentrava cioè
sui due maggiori ostacoli all’attività didattica: le assemblee quotidiane e le
assenze. Erano inoltre considerati alcuni dettagli: i ritardi, le
giustificazioni, il divieto di fumo in classe.
Ci furono notevoli sforzi per rispettare e far rispettare il
Regolamento, ma non si può dire siano stati coronati da successi decisivi. Il
Regolamento è in realtà la radiografia da cui si evince la realtà quotidiana
dello Sperimentale: ciò che lì viene proibito è esattamente ciò che
caratterizzava l’andamento normale della scuola. L’attività politica occupava
tutto lo spazio che riteneva opportuno occupare, i ritardi erano normali, e
comunque la prima mezz’ora, d’inverno, andava via per accendere la stufa e la
seconda mezz’ora per discutere se si potesse fumare con la finestra socchiusa o
invece aperta o davvero non si potesse fumare affatto – magari uno alla volta…?
Tutto poteva, tutto doveva essere discusso e votato, per essere poi discusso di
nuovo. Decideva certo l’Assemblea Generale, in linea di principio, ma decideva
soprattutto la classe.
Questo discutere incessante, sistematico, ossessivo, è stato
una palestra dialettica e politica straordinaria, ed era un’attività formativa
alla pari o forse più importante, per molti di noi, dello studio. Ma era anche
un’attività inane e stravagante, fine a se stessa come un gioco. Una sola
volta, che io sappia, si è dato il caso di uno studente che si è trovato a fine
d’anno con più del 60% di assenze in tutte le materie. Il caso è stato
dibattuto proprio nella mia classe. Il Regolamento prevedeva la bocciatura, ma
diceva anche che se le assenze erano dovute a “cause di forza maggiore” si
poteva soprassedere. La discussione fu surreale, le assenze erano dovute a
cause incerte e praticamente indefinibili. Arrivati al voto, furono per la
bocciatura tutti gli insegnanti, i due rappresentanti dei genitori e due degli
studenti (io e il mio migliore amico, Lorenzo Ascoli). Gli altri miei compagni
di classe però votarono tutti contro, per solidarietà e per principio: e quel
ragazzo, di cui nessuno di noi ricordava bene il viso, che nessuno aveva mai
conosciuto né frequentato, venne promosso.
(di Giulio Savelli, continua --> )
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