La malattia
da cui è affetta la scuola è talmente strutturale e radicata nelle menti di noi
individui civilizzati (anche e soprattutto di quelli che si credono più
intelligenti e colti), che è indispensabile offrire indicazioni chiare e nette
a chi vuole ancora (provare a) salvarsi.
La scuola è
la struttura che permette di costruire e mantenere in piedi l'attuale
miserabile organizzazione sociale. Qualcuno ritiene che siano i media a
trasformarci in macchine da produzione e consumo. Questo è vero solo in parte. I
pericoli maggiori non arrivano dalla televisione, dalla radio, o dal web. Arrivano
dalla scuola. Perchè il tipo di individui che negli ultimi decenni ha dato (e
oggi ancora dà, si spera ancora per poco) la direzione al nostro modo di vivere
non è quello che passa la vita guardando la televisione o navigando in rete, ma
quello che sgobba ore e ore ogni giorno per "andare bene" a scuola.
La scuola è la vera causa del produttivismo/efficientismo/consumismo
contemporaneo, non i media, neppure quelli di massa come la televisione. Ore e
ore di televisione possono creare uomini-consumatori passivi annichiliti e
inebetiti dagli spot pubblicitari, dalle fiction e dai reality, uomini che
occupano posti subordinati nella scala sociale e non avranno quindi mai la
possibilità di cambiare il mondo. Ma ore e ore di perfetti adempimenti
scolastici creano uomini-produttori-consumatori attivi e rigorosi, quegli uomini
che decidono (“non decidono”, sarebbe forse il caso di dire) ogni giorno che
bisogna continuare a vivere in questo modo penosissimo e che non è necessario
alcun cambiamento di rotta.
Il potere (la
responsabilità!) di conservare la condizione presente ce l'ha la scuola, perchè
è la scuola che per prima ha il compito, in questo mondo così organizzato, di iniziare
a stabilire chi in futuro avrà il potere e chi non lo avrà. E qui iniziano i
problemi e gli interrogativi. Come si fa a sapere chi potrà avere il potere e
chi no? Qualcuno risponderà: occorre misurare in qualche modo i livelli
raggiunti dagli individui. Ma come si fa a misurarli? Qualcuno risponderà: cercando
di trovare metri di misurazione. E quali sono questi metri? Qualcuno risponderà
di sapere quali sono. E inizierà ad applicarli. Poi si accorgerà che la
misurazione non va ancora bene, e allora cambierà. E cambierà poi di nuovo. E
ancora e ancora. Fino a quando sarà soddisfatto perché avrà trovato il modo
giusto per misurare perfettamente i ragazzi e le ragazze. Tutto perfetto
quindi? Tutto perfettamente sbagliato, direi. C’è un grande problema che questi
professionisti del calcolo e della misurazione non considerano: la gran parte delle
cose misurabili in un essere umano sono le più superficiali, le più inutili, e
per giunta le più falsificabili. Ma questo non è importante per costoro,
l’importante è illudersi di avere per le mani qualcosa di facilmente controllabile
e misurabile. Nelle nostre scuole la semplicità viene costantemente deviata
verso la complicazione, mentre la complessità è trattata con semplicismo. Ed è
così che per un giovane non ci può essere spazio, a scuola, per una libera personalissima
lettura di un libro che lo ha incuriosito ed esaltato, non c’è spazio per una riflessione
e/o libero dialogo sull'alienazione, sulla poesia, sulla morte, sull'humanitas,
sulla fede, sulla sessualità, sulla retorica e il linguaggio, sul modernismo,
sul femminismo, sul relativismo, sul superomismo e persino su tutti i presunti
vizi e tutte le presunte virtù dell'uomo e della donna. Una riflessione nata da
un verso di un poeta latino o di un filosofo contemporaneo. Roba letta per caso
da un libro aperto in un momento di noia. O da una pagina web aperta solo per
sbaglio. Uno spunto qualsiasi che ci porta a un momento di vita autentica, a
pensare realmente in autonomia e per il puro piacere di farlo. Una riflessione
che può dirci tantissimo di un individuo, ci può svelare la sua
anima persino, i suoi dubbi e paure, le sue speranze e le sue passioni. “Ma via!
codesta roba non è misurabile! è immondizia! Noi abbiamo il compito di misurare.
Abbiamo persino costruito delle tabelle, delle "griglie" per
costringere questi ragazzi a farsi misurare per bene”. Ecco quindi che tutti
gli obiettivi della scuola tendono a questa misurazione finale. Non c’è spazio
per altro nella testa dei giovani: “Sarò misurato, dovrò avere misurazioni alte”,
“Se ottengo misure alte, valgodi più”. È questa esattamente la causa della
desertificazione umana presente nel mondo, che nasce e viene ufficializzata nelle
nostre scuole.
I primi a
diventare disumani sono proprio gli insegnanti, costretti - senza rendersene
conto - a diventare meccanici misuratori invece di brillanti appassionati e
appassionanti guide nel percorso di crescita di chi è più giovane di loro. È
piuttosto normale poi che il virus produttivistico transiti dagli insegnanti
agli allievi, che difficilmente si rendono conto della deformazione del
sistema. Chi istintivamente si ribella perché ha mantenuto un po’ di
naturalissima tendenza alla libera espressione della propria personalità, viene
costretto a fare marcia indietro, trattato come un appestato, un barbaro, un
incivile. Normalmente si sente dire che quel determinato alunno non è “scolarizzato”.
In pratica non risponde ancora ai criteri di produzione scolastica, non è stato
ancora inscatolato, non si è ancora lasciato mettere nel barattolino pronto per
la consumazione. Sono rarissimi i giovani, soprattutto nei licei, che riescono
a superare i cinque anni senza essere normalizzati, ridotti alla paralisi
intellettuale morale emozionale, ricondotti allo standard medio dell’uomo-massa.
Il trattamento di continua produzione e misurazione lascia pochi superstiti. Probabilmente
al termine del quinquennio liceale sono salvi il 2-3% dei giovani, forse anche
meno. Che è poi la stessa percentuale degli insegnanti che sono consapevoli di
queste storture e che lottano per non far perdere agli allievi la loro residua
umanità. Nelle nostre scuole non ci si può occupare di ciò che piace, che
appassiona, che serve alla crescita di un individuo. Nelle nostre scuole si
finisce per studiare solo tutto ciò che può essere misurabile, numero di
esercizi svolti, numero di pagine studiate, numero di esercizi corretti, numero
di informazioni lette sul libro e ripetute correttamente. Da un trattamento
simile non può che uscire un bravo imbecille, un servo rispettoso, un faticatore
infelice, un uomo-macchina. Perché è la macchina ad essere progettata per
rispondere a compiti esattamente standardizzati, normalizzati, tutti misurabilissimi.
On off, uno zero, aperto chiuso, giusto sbagliato.
Non ci lamentiamo, quindi, se oggi ci ritroviamo in un mondo di automi privi di intensità emotiva, perché
li costruiamo noi questi automi, educandoli a svolgere sin dall’infanzia compiti
meccanici, ripetitivi e misurabili. Non mi scandalizzo affatto nel vedere ogni
giorno decine di migliaia di uomini ricchissimi e potentissimi fregarsene di decine
di milioni che crepano. Questo atteggiamento viene insegnato a bambini e
ragazzi nelle nostre scuole, e si cela dietro parole come “efficienza”, “meritocrazia”,
“produzione”, “valutazione”. Sono le stesse belle parole che sentiamo
proclamare ogni giorno dagli uomini di potere di tutto il mondo civilizzato.
Antonio Saccoccio
Applaudo ogni parola ed ogni virgola di questo tuo post! Solo pochi giorni fa ho urlato la mia rabbia su fb dopo aver dovuto ascoltare l'ennesimo "il ragazzo non è scolarizzato" agli scrutini...Queste non sono scuole, sono sartorie, e di bassissimo rango. Le tue parole, Antonio, mi hanno fatto ricordare quella frase (di Einstein, pare) che trovo parecchio illuminante:
RispondiElimina“Siamo tutti dei geni, ma se un pesce viene giudicato in base alla sua capacità di arrampicarsi su un albero, si sentirà uno stupido per tutta la vita”.
Ecco quello che spesso cercano di fare le scuole: far arrampicare i pesci sugli alberi. E se non ce la fanno, perché preferirebbero nuotare...Giù con le misure! Bleah!
dall'altra parte dell'oceano pensano, più o meno, la stessa cosa
RispondiEliminahttp://www.sethgodin.com/sg/docs/stopstealingdreamsscreen.pdf
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RispondiEliminaCaring
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