La deriva autoritaria e
autoreferenziale della scuola italiana (e occidentale più in generale) è ben
rappresentata dal recente articoletto di Benedetto Vertecchi apparso sull’Unità
del 7 marzo scorso: "Scarsi in matematica? Colpa della volgarità". Vertecchi annuncia, con quel compiacimento che accompagna
spesso analisi del genere, l’ennesima figuraccia dell’Italia nell’ultimo rapporto
sui livelli di apprendimento. Questa volta sul banco degli imputati c’è la
matematica. Lo studioso evidenzia le motivazioni per cui l’apprendimento dei
ragazzi è così scarso negli ultimi decenni e afferma:
Gli stili di vita prevalenti nei Paesi industrializzati riducono progressivamente l’uso delle competenze di base nelle pratiche quotidiane. Si legge e si scrive sempre di meno, e c’è sempre minor bisogno di calcolare.
Siamo alle solite. La
colpa è della maledetta tecnologia che ci semplifica troppo la vita. Ascoltiamo
invece di leggere, parliamo invece di scrivere, e magari per fare le addizioni usiamo
il calcolatore elettronico invece di mettere i numeretti in colonna! Non ci
siamo. In questo modo scriviamo, leggiamo e calcoliamo poco, con il disprezzabilissimo risultato di semplificarci l'esistenza. E poi nei test istituzionali risulteremo scarsi.
Sconcerta il fatto che Vertecchi,
e i tanti come lui, non si pongano mai il problema in termini differenti. Non è
che le abilità dei giovani si sono trasformate e che quei questionari, frutto
di una superata visione meccanica, produttivistica e utilitaristica della conoscenza,
non sono più adeguati a misurarne le abilità? Parliamo ovviamente di abilità al
plurale, perché questo almeno dovrebbe essere scontato. Anche se a leggere
Vertecchi sembra sempre e solo l’intelligenza logico-sequenziale quella da tenere
in considerazione (e non a caso anche riferendosi alla lingua parla di
grammatica, sintassi, etc., e quando parla di affettività, ne parla in termini
riduttivi, anzi spregiativi e manipolativi). Siamo ancora al modello dell’uomo
razionale ad una dimensione, senz’anima, intuito e passioni, tutto calcolo, utilità ed
efficientismo? Sembrerebbe proprio di sì. D’altra parte, Vertecchi è un
docimologo, e purtroppo le sue analisi sono viziate da un peccato ab origine: partono tutte da dati
statistici, da qualcosa che è ben misurabile e valutabile. E come abbiamo detto più volte, quasi
tutte le cose facilmente misurabili in un essere umano sono anche le meno ricche e le più
superficiali. D’altra parte, il tipo di individuo che oggi ottiene risultati positivi nei
questionari di valutazione scolastica non lo definiremmo intelligente e/o sensibile, ma piuttosto
integrato e conforme al modello produttivistico dominante. Modello dominante
nelle alte sfere produttive, ma in via di sparizione nella sensibilità comune. Come
mostrano proprio i dati che Vertecchi analizza con tanto allarmismo. Chissà come
reagirebbe il noto docimologo se si accorgesse che stanno emergendo nuove
abilità nelle ultime generazioni, tra cui quella di operare analogicamente, simultaneamente,
sinesteticamente, comunitariamente e che queste abilità aprono nuove possibilità di
organizzazione dell’esistenza e dell’esistente. Vivere più organicamente e meno
meccanicamente, ad esempio. L'immersione al posto della costrizione/misurazione. Rifiutare l’isolamento individualistico scolastico,
freddo ed efficientistico, preferendo il coinvolgimento in vivi contesti di
apprendimento neotribali e informali, ma non per questo “volgari”. Volgare resta
– e non c’è nulla di provocatorio in questa affermazione - il tentativo di
plasmare con forza il mondo a propria immagine, soprattutto quando quell’immagine
è da tempo superata (e per fortuna, aggiungiamo noi). D’altra parte quando si è
ormai lontanissimi dal sentire il fluire della vita, si può finire anche con il
proporre soluzioni davvero sconcertanti come la seguente di Vertecchi:
Essenziale in questa prospettiva è un forte incremento della presenza della scuola nell’organizzazione della vita di bambini e ragazzi: si tenga conto che i risultati migliori sono quelli che si ottengono nei sistemi scolastici che operano su tempi distesi e impegnano una parte più consistente del tempo degli allievi.
Come a dire: questo
mondo non ci piace come sta andando a finire, cerchiamo di curarlo con un po’
di scolarizzazione in più e dopo questa bella terapia tutto andrà a posto. Invece di lasciar fluire piacevolmente e naturalmente l'apprendimento nella vita quotidiana, si tenta di rinchiuderlo a forza nelle mura scolastiche. Un tentativo
che, se non fosse patetico e destinato a rapida sconfitta, dovrebbe essere
guardato con pericolosità perché violento e autoritario. Ci si rende conto che
la scuola non riesce più a produrre individui come desideriamo, e come cura
cosa si propone? Più scuola. Aumentare le dosi del farmaco, perché il paziente
non risponde più alla terapia.
Siamo di fronte ad
una visione del mondo che, per fortuna, si delegittima nello stesso momento in cui tenta disperatamente
di imporsi. Se chi fa l’apologia del calcolo e della razionalità, non è più capace
delle osservazioni più elementari, possiamo dire ancora una volta che non vediamo altra soluzione alla crisi della scuola che non sia la descolarizzazione. Processo
per altro già in atto naturalmente, ma che le istituzioni fanno finta da tempo di
non vedere per non ammettere di dover ripensare completamente uno dei pilastri
della modernità: la scuola appunto, l’unica cosa - ahimè - che resta davvero
volgare a questo mondo.
Antonio Saccoccio
Questa di proporre il pensiero conformistico come eversione e criticità è un'abitudine da tempo interiorizzata nell'intellettualità licealista di sinistra. Non ho mancato occasione di denunciare il misfatto, documentandone le varie articolazioni. Ma tant'è, chiagne e fotte è soluzione che funziona...http://ltaonline.uniroma3.it/immersioni/643-eccitazioni.html
RispondiEliminaIo avevo incrociato la Maestrucola in un articolo di quello stesso periodo sempre su questo blog:
RispondiEliminahttp://descolarizzazione.blogspot.it/2011/02/la-scuola-noiosa-un-modello-da.html
Comunque la riproduzione fideistica del topos della vecchia buona scuola resta il leitmotiv di questi ambienti.
D'altra parte ad un'analisi dei fatti e delle idee - e si nota bene dal dialogo tra Maragliano e Russo - sembra evidente la sproporzione tra i due livelli di consapevolezza. La scelta sembra essere tra la scuola in cui si fa qualcosa e la scuola in cui si fa finta di fare qualcosa. In Italia gli insegnanti hanno preferito e preferiscono ancora questa seconda scelta. Con il risultato che la scuola oggi non ha più motivo di esistere.